Parola d’artista
2022
Intervista a Silvio Wolf
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Gabriele Landi: Buona sera Silvio, per prima cosa le volevo chiedere che importanza riveste la luce nel suo lavoro?
Silvio Wolf: Nel mio lavoro la luce è attivamente soggetto e mezzo. Avverto un vincolo inscindibile tra processo e forma, Linguaggio e Realtà: l’uno è la condizione d’esistenza dell’altra. Fotograficamente parlando, la luce opera uno strappo virtuale che mi consente di materializzare l’oggetto in un luogo intenzionato, altrove. Essa genera una condizione d’ubiquità, un legame immateriale tra corpo reale e corpo virtuale: i due esistono simultaneamente in un nuovo, unico spazio-tempo.
G.L.: Che tipo di lavori faceva agli inizi?
S.W.: Inizialmente ho inteso verificare i meccanismi stessi dell’operare con il linguaggio fotografico, e le forme simboliche che esso andava assumendo al cospetto di dati certi ed esperibili del reale. La mia ricerca si è focalizzata soprattutto sugli spazi architettonici e in particolare, come mi sarei accorto solo più tardi, sui luoghi di transizione. Non è stata una scelta di metodo, ma una risposta quasi istintiva all’esperienza dei luoghi.
G.L.: Quando il suo lavoro ha cominciato ad avere una pertinenza spaziale e da dove viene questo suo interesse?
S.W.: Direi sin dall’inizio. Piuttosto che scelte, si è trattato di incontri, accadimenti, circostanze cariche di valore simbolico. Non so dire da dove provenga questo mio interesse. Mi sono accorto di aver sempre privilegiato lo spazio alla figura umana, i luoghi alle persone, la sospensione temporale all’attimo fuggente, l’apparentemente banale all’accadimento eccezionale: l’incontro e la trasformazione, alla costruzione e la messa in scena. I luoghi che scelgo sono normalmente disabitati, immobili e sospesi nel tempo. E’ come se l’uomo vi fosse inscritto senza mai essere esplicitamente nominato, come se già lo contenessero, quasi ne fossero le emanazioni spaziali.
G.L.: In seguito a questo passaggio come si è evoluto il suo lavoro?
S.W.: Verso la metà degli anni ’80 ho avvertito la forte esigenza di non limitarmi più alla rappresentazione bi-dimensionale dei luoghi, ma piuttosto all’intervenire al loro interno trasformandoli in spazi multi-dimensionali d’esperienza, agendo attraverso l’Integrazione, la trasposizione e trasformazione del dato esistente.
G.L.: I suoi interventi nel tempo si sono fatti sempre più in dialogo con il luogo in cui vengono collocati arrivando a realizzare delle vere e proprie installazioni monumentali dal forte impatto emotivo. Che importanza ha il dialogo con i luoghi nel suo lavoro?
S.W.: Il dialogo con i luoghi è fondamentale. La genesi del mio lavoro è sempre dovuta all’incontro con un luogo particolare, che può avvenire per caso o necessità, purché lo possa riconoscere e trasformare in spazio simbolico: una metafora del Reale che offra identità e presenza, appartenenza ed esperienza.
G.L.: Il tempo per un artista come lei che usa il mezzo fotografico che importanza ha?
S.W.: E’ molto importante. Ci sono tempi diversi, vissuti coscientemente o inconsci. Tempi istantanei e tempi sospesi. Assenze di tempo. Tempi relazionali e individuali. Tempi condivisi e tempi soggettivi. Conta il divenire del tempo: delle cose, dell’esistenza, dell’ignoto.
G.L.: Per chiudere questo nostro dialogo le volevo chiedere di parlare dell’idea di soglia che mi sembra un concetto chiave del suo lavoro?
S.W.: L’idea di Soglia appartiene in forme diverse a tutto il mio lavoro, sia nelle immagini ispirate all’architettura, sia in quelle apparentemente più astratte. I concetti di limite, assenza e altrove sono espressi attraverso metafore dello spazio e simboli dei luoghi.
Nelle immagini architettoniche riconosco la soglia in luoghi reali che interpreto come modelli di realtà: quel limite tra interno ed esterno, presenza e assenza, qui e altrove in grado d’indicare strade, esperienze e alterità possibili. Sono luoghi di transizione che connettono e separano, visioni simultanee d’interno ed esterno. La soglia è un confine che si affaccia su due mondi, dei quali l’uno non potrebbe esistere senza l’altro. Ciò che unisce, separa.
La mia predilezione per i luoghi di transizione forse vuole indicare anche che la Fotografia, intesa come linguaggio simbolico, può essere pensata come soglia tra il Reale visibile e i suoi molteplici livelli d’interpretazione: il limite e il punto di coincidenza tra materiale e immateriale, visibile e invisibile, reale e possibile. La Fotografia è un’interfaccia, la soglia tra l’Io e il Reale.