L’Ostensione della Scrittura
in “Sapienza della Parola, gioia di un incontro. Chagall, Wolf, Saglietti", exhibition catalogue (curated by G.Foschi and A. dall’Asta), Fondazione Lercaro, Bologna
2009
A Proposito dell’Installazione di Silvio Wolf “John 14 – Il Libro dei Libri”
Quaranta leggii sorreggono quaranta immagini simili e diverse: tutte riproducono infatti una doppia pagina del Vangelo di Giovanni, per l’esattezza il capitolo 14, tradotta in quaranta lingue diverse. Silvio Wolf, con questa installazione progettata appositamente per la Biblioteca cantonale di Bellinzona, con coerenza indaga il Libro sacro e la relazione tra segno e scrittura utilizzando la fotografia al suo grado zero, come una traccia, come una semplice impronta del reale capace di trascenderne i limiti grazie alle sue stesse leggi. Volutamente egli non interpreta nulla, non usa luci sapientemente organizzate per creare effetti suggestivi, e neppure gioca con riprese ravvicinate o con sfocature per trasfigurare tali pagine in qualcosa di misterioso. Il suo lavoro è lontanissimo da quello di Abelardo Morell che, affascinato dai libri, si impegna a farli apparire come strani esseri metamorfici, magari cogliendo una pagina che si carica di magia quando la luce la colpisce da una particolare angolazione, oppure inquadrando dal basso un voluminoso dizionario fino a farlo apparire simile a un’imponente montagna di fogli. Così come si differenzia nettamente dalla ricerca di Pino Musi, il quale interpreta il libro come un paesaggio di carta ed esplora da vicino la consistenza materica delle pagine con l’insistenza e la passione di un innamorato, quasi volesse compiere un viaggio iniziatico all’interno dell’universo cartaceo fin dentro le sue trame più nascoste e recondite. Nell’opera di Silvio Wolf non c’è niente di tutto questo: quaranta doppie pagine di Giovanni 14 sono fotografate con la stessa luce omogenea, dalla stessa distanza, attorniate da uno spazio nero che evidenzia la presenza dei libri e li fa come emergere dall’oscurità. Libri che però, grazie al suo intervento fotografico, divengono non sfogliabili, immobili e deprivati dalla loro consistenza materica e oggettuale: si offrono su un leggio, ma al contempo impediscono la presa alle nostre mani, si negano al nostro corpo. Essi si ostendono come una pura, assoluta, visibilità che si moltiplica attraverso le lingue del mondo senza muoversi mai, ostinatamente, dalle due pagine evangeliche di Giovanni 14. Collocati in modo da non creare un percorso univoco e direzionale, tali leggii invitano al contempo i visitatori a trovare un proprio cammino esperienziale di vicinanza e di contemplazione rispetto a queste pagine che, leggere, quasi immateriali, si dispiegano sui loro esili sostegni.
«A rose is a rose is a rose is a rose» ha scritto Gertrude Stein: nello spazio enigmatico di questa ripetizione, ciò che rimane è solo l’insistenza di una interrogazione che si ripropone su molti livelli senza cristallizzarsi in una domanda precisa. Ma, mentre la ripetizione della Stein resiste a ogni definizione, e soprattutto a ogni sviluppo, quella di Silvio Wolf ci interroga senza sosta e al contempo ci trascina in un viaggio simultaneo attraverso la visione delle lingue del mondo. Lingue che si offrono allo sguardo come scritture allo stato puro, visibili sotto forma di segni, di icone impronunciabili. Di fronte a queste grafie spesso incomprensibili e affascinanti si osservano le pagine del Vangelo di Giovanni non solo per cogliere il senso del messaggio in esse racchiuso, ma prima ancora per quel che esse mostrano con la loro muta evidenza: ideogrammi, lettere, spazi bianchi, punteggiature.
Secondo i mistici ebraici i livelli d’interpretazione dei testi sacri sono almeno sessantaquattro, di cui solo il primo è quello letterale. Come ricorda Haim H. Baharier: «Il Talmud gerosolimita insegna come l’allievo agguerrito, ovvero dotato di una famigliarità estrema con gli insegnamenti della tradizione, sia chiamato a leggere la scrittura, nei suoi spazi bianchi e neri, per riscoprirvi un senso inedito»(1). Ecco, è come se le pagine del Vangelo mostrate da Silvio Wolf ci invitassero a compiere un’operazione interpretativa e di lettura analoga a quella compiuta da questi mistici. Un’operazione protesa a superare il limite del senso manifesto delle parole, assimilabile dalle coscienze, per avvicinarsi all’inarrivabile, a ciò che sconfina oltre noi stessi. Qui la parola scritta si articola con l’ignoto in modo radicale. Ogni pagina-fotografia del Libro è un altrove materiale e al contempo metafisico. Coerentemente con altri suoi lavori, come, ad esempio, Paradiso esposto di recente presso la Galleria Gottardo di Lugano, questo artista riesce infatti a creare atemporali opere-soglia, che dal reale si aprono verso un’altrove presente”, per usare un termine a lui caro, che lo spettatore è invitato ad attraversare.
Con quali parole si fa udire la voce del Signore a un algonchino, un bulgaro, un laotiano, uno slovacco, un cinese? Potrà mai il significato delle Sue parole rimanere identico passando attraverso lingue, culture e tradizioni così diverse?, viene da chiedersi mentre osserviamo queste pagine che ci rimandano a una babele linguistica di cui non riusciamo a udire le voci, ma che pure ci inseguono come un’eco, come un ‘apertura nel mondo. Silvio Wolf non ci offre risposte univoche, eppure avvertiamo che la sua opera diviene una sorta di luogo di manifestazione del Divino attraverso la scrittura. Di traduzione in traduzione la Parola sacra non si disperde, ma anzi pare intensificarsi. Anziché venire tradita, si arricchisce declinandosi nelle molte lingue del mondo, passando di cultura in cultura, di scrittura in scrittura. D’altra parte nella pagina stessa di Giovanni 14 si trova scritto: “Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore”: come se ogni singola lingua fosse una „dimora” custodita, accolta, accettata nella “casa del Padre”, cioè nella Parola di Dio. Tale simultanea propagazione e moltiplicazione della scrittura del Vangelo, messa in atto dall’opera di questo artista, si rivela così un’apertura che si contrappone a qualsiasi tentativo fondamentalista di afferrarne definitivamente il senso attraverso un’interpretazione puramente letterale. Nella “installazione-lettura” di Silvio Wolf, la scrittura, quale veicolo della Parola di Dio, si rivela dunque refrattaria a qualsiasi tentativo di esegesi univoca, totalitaria.
1) Haim B. Baharier, Il Dio e il popolo che scaturiscono dalle Scritture, pp. 89-90, in: AAVV, Il Libro sacro. Letture e interpretazioni ebraiche, cristiane e musulmane, Bruno Mondadori, Milano, 2002.
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Installation: John 14